IL SUONO RAZIONALE

Euripide a New York

Supponiamo che mi trovi ad avere di fronte tre cose qualsiasi. Supponiamo che siano un pezzo di pane raffermo, un foglio di carta quadrato e un lungo listello di legno ben piallato. Ci sono diverse cose che si potrebbero fare con questi oggetti, cose che muterebbero la loro posizione, la forma, il numero e in qualche caso il peso complessivo. A una prima osservazione può seguire un’idea e quindi una progettazione, con l’obiettivo di realizzare qualcosa. Che cos’è questo qualcosa? Possiamo immaginarlo come l’esito di una transizione da A a B: immagino uno stato B e progetto le azioni che mi condurranno alla transizione a B da A. Ad esempio potrei costruire una barchetta di carta e guidarla con il listello verso il centro di uno stagno per nutrire un’anatra prudente e timorosa con il pezzo di pane raffermo. Un romanziere di fronte a un foglio bianco può progettare il suo racconto elaborando prima una scaletta di scrittura, con la sua articolazione logica e cronologica, quindi la struttura dell’intreccio. Il pittore può progettare il quadro schizzando le forme e la loro posizione relativa seguendone poi le linee nella realizzazione dell’opera. Analogamente il compositore può articolare la sua idea musicale a partire da una struttura formale, una struttura armonica (se il mezzo espressivo è tonale), un modello matematico o una struttura di relazioni atonali (se il mezzo espressivo utilizzato non è tonale). In tutti questi casi c’è un lavoro a tavolino di pianificazione nel quale si organizzano gli elementi stabilendo relazioni. C’è uno stato A e un’idea di stato B. E c’è un soggetto che conduce una transizione da A a B esercitando il proprio controllo sulla materia a disposizione. La faccenda si gioca tutta sullo schema ‘io soggetto’-‘predicato’ su cui si basano le lingue, almeno quelle indoeuropee e semitiche che ci sono più familiari. Si tratta di un approccio analitico che contiene anche caratteristiche gerarchiche, in qualche modo autoritarie, che plasmano l’azione facendola ruotare intorno all’idea di controllo dei mezzi. Le tecniche (la prosodia, la retorica, la grammatica, la semantica, l’ottica, la prospettiva, la conoscenza dei materiali, la conoscenza armonica, la conoscenza delle caratteristiche degli strumenti musicali, l’acustica) aumentano le possibilità di controllo dei mezzi e facilitano la transizione da A a quel B pianificato e posto come punto di arrivo dell’attività di pianificazione.

Euripide, nell’Oreste, indaga i limiti delle intenzioni umane, il frantumarsi degli obiettivi nel condurre uno stato verso gli esiti sperati. Le azioni umane sono incapaci di comprendere i percorsi dei cambiamenti e non riescono a convergere verso gli obiettivi pianificati. Solo l’intervento di Apollo, nelle vesti di deus ex machina, riesce a salvare dal collasso la realtà. Le intenzioni e le speranze di Oreste e di Elettra, il soccorso di Pilade e anche le risoluzioni di Menelao, non raggiungono mai lo scopo e la vicenda si sottrae ostinatamente ai disegni dei protagonisti. I protagonisti della tragedia non riescono a capire il movimento, la linea temporale che conduce uno stato delle cose verso uno stato delle cose successivo. È per questo che per i Pitagorici e per Platone il numero è quanto di più reale possa esserci. Nel numero, nella linea, nella figura geometrica, sono presenti, in potenza, gli altri enti matematici che si producono da essi. Nella linea esiste in potenza il quadrato, nel quale, per mezzo della sua diagonale, esiste in potenza un quadrato di area doppia e quindi i successivi raddoppiamenti; analogamente la serie di potenze consecutive (1, 4, 16, 25, 36…) si costruisce a partire da una figura, lo gnomone, che consente lo svilupparsi della serie. Lo stato A contiene in partenza lo stato B.

L’idea che è definibile ciò che ha la capacità di produrre una trasformazione, che contiene già in partenza, appartiene essenzialmente alla realtà matematica e può esprimere e dare significato alle trasformazioni che avvengono in natura producendo la scoperta di nuovi e sempre più complessi strumenti matematici, che si sviluppano a partire da quelli più elementari. La matematica ha quindi in sé un meccanismo automatico di controllo dei mezzi: il numero contiene le sue potenziali relazioni e si dispiega suggerendo l’esistenza di una realtà più profonda e autentica dentro le cose. Lo fa, tuttavia, al di fuori dello schema ‘io soggetto’-‘predicato’. Hardy definì platonismo matematico l’idea che la matematica fosse la scoperta di questo dispiegamento, per certi versi più reale della realtà fisica. Tuttavia il pitagorismo, che è stato anch’esso essenzialmente questo, ha ingenerato l’idea (probabilmente anche in questo caso al di là delle sue intenzioni) che il controllo razionale dei mezzi attraverso la pianificazione degli obiettivi e l’organizzazione degli strumenti per giungervi potesse funzionare anche nelle cose umane. È l’illusione di Oreste, ma le cose prendono il loro corso sottraendosi al controllo perché c’è sempre qualcosa che viene trascurato, perché la realtà è più complessa di ciò che il logos individua, definisce, circoscrive; perché, soprattutto, chi vuole esercitare un controllo sulla realtà non ascolta le cose che lo circondano. Guidare una transizione da A a B è un’operazione autoritaria che trova la sua origine nell’imitazione del dispiegamento della realtà matematica e insegue la necessità della transizione da A a B come nucleo esistenziale dell’azione sociale. Ma il progetto, efficace nel suo ambito, impedisce alle cose di parlare e di esibire la loro impronta su di noi e su tutto ciò che le circonda, ci illude di portarci dove vogliamo e si riduce a una riproduzione di modelli in cui gli elementi parlano una lingua che non è loro riproponendo il senso delle relazioni pianificate da chi controlla e proietta se stesso sulle cose.

La cancellazione delle avanguardie novecentesche, in favore di un formalismo tradizionalista avviene attraverso la giustificazione della necessità dell’ossessivo ricorso al controllo dei mezzi. Cancellare la dialettica tra regolazione e rivelazione, che era tipica delle avanguardie, per una normalizzazione formalista è uno degli aspetti più disgustosi di quest’epoca di delirio analitico. Immagino Euripide, a New York, che alza gli occhi verso il cielo e scorge Apollo che scende giù tra i grattacieli più alti per liberarci  dal labirinto inestricabile in cui ci siamo cacciati.

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