IL SUONO RAZIONALE

L’orecchio assoluto

Quanto al parlarmi, non è vero, la musica non mi ha mai parlato, agganciava dentro di me fili sottili che non conoscevo, profondi come alghe, la musica li portava in superficie, e all’improvviso faceva spuntare un capo, io dovevo solo prenderlo e tirarlo. La musica era rivelazione, ma non di carattere generale, rivelava ‘cose per me’, era un contrabbandiere che passava di notte il borderline e lasciava di qua ciò che non sospettavo. Di più, la musica contrabbandava anche me, mi faceva passare il confine come un emigrante clandestino, mi portava fuori, e questo fuori si risolveva sempre in un’azione. (Daniele Del Giudice, “L’orecchio assoluto”, in I Racconti, Torino, Einaudi, 2016)

Nel racconto L’orecchio assoluto Daniele Del Giudice narra di come, in maniera ineffabile, un frammento musicale conduca un uomo a meditare l’uccisione di un giovane ittiologo individuato casualmente, dalla Camera Obscura di Edimburgo, tra i passanti di una strada. Sarà proprio riascoltando quel frammento dentro la casa dell’ittiologo, in mezzo a decine di acquari, che l’uomo apprende che quel giovane è l’autore del frammento che lo ha condotto lì. Quella notizia lo costringe, a causa di un impulso irresistibile, a stringere le sue mani al collo del giovane, credendo, dopo una furibonda lotta, di averlo ucciso. In realtà, lo scoprirà il giorno dopo, l’ittiologo sarebbe stato ucciso dal veleno di un pesce caduto su di lui dopo il crollo di uno degli acquari, provocato dalla lotta tra i due. Scoprirà anche che l’ittiologo aveva l’orecchio assoluto.

Nel racconto ci sono due cose particolarmente interessanti. La prima: l’io narrante, l’uomo condotto a Edimburgo dall’ineffabile frammento musicale, non è un io-soggetto, non pianifica il suo obiettivo, è semmai la situazione che lo conduce alla sua vittima; consapevole di dover uccidere qualcuno spinto dal frammento melodico, sente di aver individuato il suo obiettivo quando gli è indicato ineffabilmente da qualcosa che sta fuori di lui, nel mondo in cui si muove; non si ha una separazione tra l’io-soggetto e il mondo, un tentativo di controllo dell’io sulla situazione esterna in cui si agisce, e anzi interno ed esterno si compenetrano vicendevolmente. La seconda: il frammento musicale sembra manifestare l’intenzione di eliminare il compositore di sé stesso, quel giovane ittiologo che, attraverso un metodo compositivo tanto bizzarro quanto efficace, scrive per sé, per i suoi pesci e, nelle sue notti insonni di radioamatore, per l’etere; si ha una sorta di rivolta della musica contro chi, con le capacità analitiche offerte dall’orecchio assoluto, la rende l’oggetto di un soggetto, la rende la “mia musica”, la sua musica.

Quella musica è, per il protagonista del racconto, l’io-narrante, in grado di agganciare e tirare fili profondi e di dispiegare davanti ai sui occhi umani una rivelazione. Si smarca dall’esercizio di un controllo: c’è una relazione tra quell’uomo e la musica, che si danno insieme senza controllarsi reciprocamente, entrambi dentro una situazione nella quale sono periferici. Giunti al termine del racconto non è possibile stabilire chi sia il mandante (il pesce che subisce la musica dell’ittiologo o il frammento musicale?), chi il killer e fino a che punto si estenda la complicità in quel delitto-non delitto (ma c’è stato davvero un delitto?) a cui concorrono un pesce dal veleno letale, un frammento musicale e un uomo ossessionato da un frammento musicale.

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Questa voce è stata pubblicata il 14 gennaio 2019 da in Fare e disfare i linguaggi, Suggestioni con tag , .
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