La matematica della morfogenesi di René Thom cerca di leggere il caos, di costringerlo entro modelli matematici. Il caos non è dentro i metodi o l’immaginario della scienza ma tutto dentro la realtà che svela di sé aspetti più complessi col passare del tempo e delle capacità di analisi della scienza stessa. Il fatto che nella teoria delle catastrofi i modelli siano qualitativi e se la vedano con paesaggi caotici e con descrittori basati sul concetto di analogia, non toglie nulla al carattere logicizzante e chiarificatore dei modelli matematici della morfogenesi. Piuttosto, Thom sottolinea come sia necessario intendersi sugli scopi della scienza. Per lui la scienza gioca la sua partita tra due poli alle estremità di un continuum: «uno è il polo in cui lo scopo fondamentale della scienza è la comprensione del reale. L’altro riguarda l’azione: da questo punto di vista lo scopo della scienza sarebbe di agire efficacemente sulla realtà» [René Thom, Modelli matematici della morfogenesi, trad. it. di Silvia Costantini, Pier Daniele Napoletani e Roberto Pignoni, Torino, Einaudi, 1985, pag. 135]. Thom sostiene che questi due poli non implicano che «per agire efficacemente, occorre comprendere», anzi, le metodologie scientifiche differiscono a seconda che sia perseguito uno scopo o l’altro: «l’intelligibilità», afferma Thom, «esige a sua volta la riduzione di un problema globale a situazioni locali tipiche il cui carattere pregnante le renda immediatamente comprensibili». In breve: comprendere è locale, agire (prevedere) è globale. Ma i meccanismi estensivi sono strumenti matematici («metodi di propagazione») [Ibidem, pag. 126] che permettono il passaggio da una conoscenza locale su un dominio a una conoscenza su un dominio più grande. In breve: l’esperienza scientifica del vecchio universo non ha caratteri distinti rispetto all’esperienza scientifica del nuovo universo. La scienza, pure nell’essere globale e nel cercare un’unità, si avvale di modelli che, finanche fossero qualitativi e operando sul globale, in modo non analitico, sono modelli chiarificatori e di sistematizzazione asimmetrica (nel senso di Matte Blanco). Si tratta di un ampliamento dei limiti della scienza e di un cammino parallelo attraverso la condivisione dell’esplorazione della forma da parte di esperienza scientifica e di esperienza estetica:
«Molto spesso la geometrizzazione favorisce una visione globale che la frammentazione intrinseca alla concettualizzazione verbale rende spesso difficile afferrare. E poi le analogie possono essere più o meno banali, più o meno sorprendenti: come si potrebbe spiegare l’effetto veramente folgorante che si nota in certe metafore poetiche se tutte le analogie fossero evidenti? È questo il motivo per cui i modelli qualitativi possono essere apprezzati e giudicati solo da un punto di vista soggettivo. In definitiva il criterio ultimo di validità di un modello consiste nella soddisfazione intellettuale che fornisce. Questo ritorno a una valutazione di carattere stilistico, quasi letterario o estetico sarà senza dubbio giudicato severamente dagli scienziati “ortodossi”. Non mancheranno di dire che questi modelli “non sono scienza”. E, dal loro punto di vista, hanno certamente ragione… Ma bisognerebbe essere molto presuntuosi per credere che esista una frontiera strettamente e chiaramente delimitata fra ciò che è “scienza” e ciò che non lo è. Il tentativo globale di geometrizzare il pensiero presenta pur tuttavia un immenso interesse teorico: ed ecco perché. In molte discipline scientifiche si utilizzano concetti il cui significato non è ben chiaro e non può essere formalizzato. In biologia si incontrano ad esempio concetti come ordine, disordine, complessità, organizzazione, informazione (genetica), messaggio, codice, ecc., ciascuno dei quali specifica una certa proprietà non-locale dell’ambiente studiato. Ci si può chiedere se questi concetti, come molti della filosofia, possono essere tradotti univocamente in tutte le lingue del mondo, se portino legittimamente l’etichetta di “concetti scientifici”. Verrà ben presto il momento in cui si rivelerà necessaria una critica sistematica di questi strumenti concettuali. Se si vorrà perseguire nei loro confronti, anche su scala ridotta, una specie di programma hilbertiano di eliminazione del senso, allora la tappa della geometrizzazione per mezzo della TC [teoria delle catastrofi, n.d.r.] potrà rivelarsi un prezioso intermediario: l’intuizione semantica, con la sua natura immediata e soggettiva potrebbe essere rimpiazzata dall’intuizione geometrica, che spazializza il suo oggetto e lo stacca dal soggetto pensante». [René Thom, Modelli matematici della morfogenesi, trad. it. di Silvia Costantini, Pier Daniele Napoletani e Roberto Pignoni, Torino, Einaudi, 1985, pag. 135]
Ma l’esperienza estetica si avvale di termini come catastrofe, caos, ordine, forma, procedendo in senso inverso alla matematica: fugge dalla modellizzazione. La riorganizzazione di un linguaggio dopo una catastrofe si può avvalere (è il caso di Varèse) di metafore scientifiche e matematiche e di un linguaggio che quelle metafore impone, ma è nel metodo col quale sono costruite una nuova forma e un nuovo mezzo espressivo che sta l’esperienza estetica. Metodo che mette in crisi la chiarezza e la pulizia logica. Per questo quella di Thom, al contrario di quello che pensano molti suoi detrattori, è vera matematica. In fondo la medaglia Field l’ha meritata.