Ho avuto con
Nicola, informatico dell’Università di Bari, un interessante scambio di idee sugli argomenti trattati nell’articolo
Evolutionary Computing e musica. Nicola mi ha chiesto se penso che la matematica e le discipline scientifiche siano (o debbano essere) solo riduzionistiche. La risposta è netta: non penso che la cifra della matematica e delle discipline scientifiche sia il riduzionismo. In matematica ci sono anche approcci prettamente ‘qualitativi’, come quello di
René Thom, vincitore tra l’altro di una medaglia Field per il suo lavoro sulla
morfogenesi e sulla stabilità strutturale. Nel libro
Il suono razionale ho citato anche
Wiener,
Von Foerster e
Bateson come esempi di un approccio decisamente antiriduzionista. Nicola richiama
GEB e l’impostazione emergentista di Hofstadter (esiste anche quella di
Edelman –
http://it.wikipedia.org/wiki/Gerald_Edelman ) con la sua idea di ‘autoreferenzialità’. Quello che affermo è che il matematico e il fisico, anche quando si muovono su piani astratti e qualitativi, non meramente analitici, tentano un’operazione di chiarificazione, di definizione, individuano relazioni. L’artista, invece, nel tentativo di scoprire la ‘bellezza’ di un’idea matematica, usa quell’idea matematica come se non fosse qualcosa di matematico, aprendone i significati.
Che le grammatiche formali possano generare linguaggi molto complessi ed espressivi, che poi è difficile interpretare in forma simbolica, rende bene l’idea della complementarità tra esperienza logica ed esperienza estetica.

In ambito anglosassone viene chiamata complessità di Kolmogorov la lunghezza della descrizione formale di una qualsiasi espressione verbale. Secondo Borzacchini, abbiamo visto, un linguaggio è tanto più espressivo quanto più è difficile (e lungo) descriverlo formalmente, quindi più le sue regole ‘grammaticali’ sono semplici meno il linguaggio è espressivo. Di contro quando si allentano i vincoli alle regole di grammatica generando nuove regole più complesse -trasgressione istituzionalizzata :)- aumenta l’espressività del linguaggio. E’ proprio per questo che, come giustamente mi fa notare Nicola, è “velleitario e vagamente definito puntare direttamente a scoprire le regole dell’espressività o volerne caratterizzare la complessità computazionale”. Sono d’accordo con lui – pur essendo poco competente in materia e perciò solo a un livello intuitivo – che le tecniche per riconoscere lo stile di una composizione (cfr
TunedIt) siano “per lo più probabilistiche e il risultato dell’apprendimento siano regole (funzioni) basate su caratteristiche di basso livello (numeriche) difficilmente intellegibili o rappresentabili in forma simbolica”.