Secondo Steven Mithen il linguaggio degli antenati di homo sapiens sarebbe stato olistico, manipolativo, multimodale, mimetico e musicale. La composizionalità – cioè la composizione di significati attraverso parti elementari – e la referenzialità – cioè il collegamento di un’espressione linguistica a qualcosa di extralinguistico – sarebbero sorte solo successivamente. I linguisti si domandano quale processo ha condotto l’uomo da un linguaggio olistico-manipolativo-multimodale-mimetico-musicale al linguaggio composizionale moderno con la sua grammatica e le sue regole. Ad aver allontanato il linguaggio dalla sinestesia e dalla musica sarebbe stata l’analisi. Ad avviso di Alison Wray la segmentazione di un linguaggio olistico emerge dal riconoscimento di regolarità casuali nelle espressioni olistiche. L’esempio che fa è, riassunto, il seguente: supponiamo che nel protolinguaggio vi fossero due espressioni che suonavano tebima e kumapi, la prima associata al significato “dallo a lei” e la seconda al significato “dividilo con lei”. Casualmente le due espressioni contengono la sillaba ma. La presenza di un segmento fonetico comune nelle due espressioni in corrispondenza di un aspetto semantico comune avrebbe indotto qualche nostro antenato con una sensibilità analitica spiccata ad associare l’elemento ma a “una femmina”.
Nell’evoluzione del linguaggio il passaggio dall’espressione olistica-manipolativa-multimodale-mimetica-musicale alla grammatica è dovuta, secondo le teorie più accreditate, a un’esperienza di tipo analitico, alla costruzione di limiti, relazioni, misure statistiche. Allo stesso tempo, d’altra parte, il retaggio olistico del proto-linguaggio permane nella tendenza dell’uomo alla deriva omologica e simbolica, con la quale si creano nuove parole e si tortura la semantica del nome. Quest’ultima tendenza del linguaggio, la sua ‘anima’ divergente, è difficilmente computabile e si trova tutta al di fuori dell’esperienza razionale. È un’esperienza astratta.
Il primo capitolo del mio libro è un cammino dentro le due anime del linguaggio: l’anima predisposta ad argomentare, a spiegare, a descrivere i fatti fisici, a chiarire i concetti e l’anima predisposta a suscitare e comunicare emozioni, a ottenere effetti e a dispiegare simboli e metafore. Le due anime si differenziano per avere la prima un carattere convergente alle regole ed essere essenzialmente basata su frasi strettamente definite nei significati; la seconda per avere un carattere aperto e divergente dalle regole. La prima anima del linguaggio, che è possibile chiamare convergente, è efficace nello stesso ambito in cui è efficace la scienza: nella realtà fisica che è anche misura e definizione dei fatti quotidiani. La seconda anima, che possiamo chiamare divergente, ci apre le porte dell’esperienza estetica.